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1.
REPUBBLICA E VIRTU’
[Viroli]
Alcuni studiosi di teoria politica sostengono che esiste
una tradizione di pensiero politico repubblicana che si
distingue tanto dalla tradizione liberale quanto dalla
tradizione democratica.
A
giudizio di questi studiosi, giudizio che condivido, la
teoria politica repubblicana si caratterizza in primo
luogo per il principio della libertà politica. Il
liberalismo intende la libertà come assenza di
interferenza; la democrazia identifica la libertà “nel
potere di dar norme a se stessi e di non ubbidire ad
altre norme che a quelle date a se stessi” (sono tue
parole); il repubblicanesimo identifica invece la vera
libertà nell’assenza di dipendenza dalla volontà
arbitraria di un uomo o di alcuni uomini. Lo schiavo,
per fare un ovvio esempio, può non subire né oppressione
né interferenza, eppure egli rimane non-libero, dal
punto di vista del diritto romano, in quanto
dipende dalla volontà arbitraria di un uomo. Credi che
si possa parlare di una teoria e di una tradizione
politica repubblicana distinta dalla tradizione
democratica e da quella liberale?
[Bobbio] Nella mia formazione di studioso di
politica il repubblicanesimo e la repubblica non li ho
mai incontrati. Conosco poco o nulla i teorici del
repubblicanesimo, che sono i tuoi ispiratori. Valga il
vero: recentemente è stata pubblicata una raccolta dei
miei scritti che conta circa settecento pagine [Teoria generale
della politica, a cura di Michelangelo
Bovero,Torino, Einaudi, 1999?]. Nel dettagliatissimo
indice-sommario la voce “repubblicanesimo” non c’è. Sono
mortificato nel doverti dire che non c’è neppure, e
questo è davvero incredibile, “repubblica”. Alcuni anni
or sono ho pubblicato un articolo, Governo delle leggi
o governo degli uomini?, in cui traccio la storia
del problema cominciando con il contrasto tra
Aristotele, fautore del primo, e Platone, fautore del
secondo. Quindi abbozzo una tipologia dei più noti
governi degli uomini. La “repubblica” non compare
mai.
Il fatto
è, te l’ho già detto altre volte, che per me, come per
la stragrande maggioranza degli studiosi di politica e
di diritto “repubblica” è il nome della forma di governo
contrapposta a “monarchia” o “principato”, a cominciare
dal nostro Machiavelli. Pensa a tutte le discussioni che
sono state fatte, che tu conosci benissimo, sulla
comparazione tra repubbliche democratiche e repubbliche
aristocratiche, e sulla superiorità dell’una o
dell’altra, anche a proposito di uno dei tuoi autori,
Montesquieu. Nessuna delle due però assomiglia alla
repubblica dei repubblicani, come tu stesso
riconosci.
La
repubblica è una forma ideale di stato che si fonda
sulla virtù dei cittadini e sull’amor di patria. Virtù e
amor di patria erano gli ideali dei giacobini, a cui poi
hanno aggiunto il Terrore. La repubblica in realtà ha
bisogno del Terrore. Tu ricordi il famoso discorso di
Robespierre sulla virtù e il Terrore. Per cui per me la
repubblica è uno stato ideale che non esiste da nessuna
parte. E’ un ideale retorico; quindi per me è difficile
capire il tuo significato di repubblica e quello dei
repubblicani. Non parliamo poi della Repubblica
Italiana.
Si può
anche usare “res publica” come termine generico per
indicare lo stato, qualsiasi stato. Niente di male: la
famosa opera di Bodin, De la
République, nella traduzione italiana nella collana
dei classici politici della UTET è intitolata Dello Stato, e
vi si distinguono e descrivono le più diverse forme di
governo, vale a dire le tre classiche, monarchia,
aristocrazia, democrazia, tutte egualmente
“républiques", o "res publicae".
A mio
modo di che vedere il significato più importante di
repubblica è quello classico di Cicerone, il quale
scrive che
"res publica" vuol dire "ciò appartiene al
popolo" (res publica res populi), e aggiungeva che non è
popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo
qualsiasi, bensì una società organizzata che ha per
fondamento l’osservanza della giustizia e la comunanza
di interessi”. Questa concezione della repubblica, che
come vedi è ben diversa da quella di Bodin in quanto
esclude il potere assoluto, è ripresa anche da Rousseau
quando scrive: “chiamo Repubblica ogni Stato retto dalle
leggi, qualunque sia la sua forma di amministrazione,
poiché solo allora l'interesse pubblico governa e la
cosa pubblica è qualcosa".
Ma lasciamo stare le definizioni.
Vorrei piuttosto osservare che mi sorprende sentirti
dire che nella tua
formazione di studioso di politica non hai mai
incontrato il repubblicanesimo e la repubblica. Mi
sorprende perché nella tua biografia intellettuale
spicca un autore importante della famiglia repubblicana,
ovvero Carlo Cattaneo. Quel Cattaneo
che scrive “la libertà è repubblica” e sottolinea che
alle repubbliche italiane del medioevo va riconosciuto
il merito di “aver diffuso sino all’ultima plebe il
senso del diritto e della dignità civile”, superando in
questo anche l’antica Atene, “la cui gentile
cittadinanza aveva pur sempre il sostrato della
schiavitù”.
Sì, ma io
non ho visto Cattaneo attraverso il concetto di
repubblica; l’ho visto attraverso il federalismo, il
concetto per cui è passato alla storia. Ovvero la
concezione federalistica della repubblica contrapposta a
quella unitaria di Mazzini; la concezione della
repubblica come una federazione di repubblichette, che
secondo Mazzini era un orrore, era un far tornare
indietro l’Italia a quello che era l’Italia dei Comuni
che piace al nostro Bossi, l’Italia del Carroccio. Io
non ho mai visto Cattaneo come uno scrittore politico
repubblicano. Ti dico francamente che il concetto di
repubblica mi è entrato così poco nella testa, fa così
poco parte delle categorie del mio sistema concettuale
che per me Cattaneo è il federalista del Risorgimento,
che allarga poi il federalismo all’Europa, non il
repubblicano.
D’accordo, ma se noi facciamo
entrare Cattaneo nel quadro della nostra discussione,
dobbiamo riconoscere che ci sono per lo meno due
versioni del repubblicanesimo, quello unitario e quello
federalista.
Su questo
sono d’accordo.
Ma a me pare che la repubblica dei repubblicani,
e quindi anche la tua sia una forma di Stato ideale, un
“modello morale”, come è stata chiamata la repubblica di
Montesquieu, che ha influito sui rivoluzionari francesi:
uno stato ideale che non esiste in nessun luogo, ed
esiste soltanto letterariamente negli scrittori che tu
citi e che sono fra l’altro così eterogenei che è
difficile collegare l’uno all’altro con un filo
consistente: da Tito Livio a Mazzini e Cattaneo,
passando per non so quanti scrittori medievali e
moderni. Tra questi ci sono scrittori propriamente
politici e storici che hanno scritto, come lo stesso
Machiavelli, commenti sulla storia di Roma, considerata
come una storia esemplare. Lo Stato come dovrebbe
essere, e come non è. Vagheggiamento del futuro o
nostalgia del passato.
Questo te lo concedo senza
difficoltà. Posto che la repubblica dei repubblicani sia
un ideale morale, non potrebbe forse essere un ideale
morale e politico importante in una fase come questa
così povera di ideali politici capaci di sostenere
l’impegno civile ed essere un punto di riferimento per
l’azione politica?
E’ lo stesso
discorso che abbiamo trattato più volte io e te a
proposito del tuo libro Dalla politica alla ragion di
Stato (Donzelli,
1994). In politica sono un realista. Parlare di politica
per me significa avere uno sguardo realistico sulla
storia. La politica, sia quella monarchica, sia quella
repubblicana, è lotta per il potere. Parlare di ideali,
così come ne parli tu per me significa fare un discorso
retorico. Anche quando i tuoi scrittori celeberrimi
parlavano di repubblica, in realtà quello che di fatto
succedeva nel mondo, era la politica com’è sempre stata,
dai greci in poi. La politica come lotta per il potere
la capisco, se parli invece della politica che ha per
fine la repubblica basata sulla virtù dei cittadini, io
mi domando cos’è questa virtù dei cittadini. Spiegami
dov’è uno stato che si regga sulla virtù dei cittadini,
uno Stato che non ricorra alla forza! La definizione
dello Stato che ricorre continuamente è quella secondo
cui lo Stato è il detentore del monopolio della forza
legittima, forza
necessaria perché la maggior parte dei cittadini non è
virtuosa, ma viziosa. Ecco perché lo Stato ha bisogno
della forza; questa è la mia concezione della politica.
E’ una categoria della politica diversa da quella che
ritiene di poter parlare di Stati fondati sulla virtù
dei cittadini. Ti ho detto, la virtù era l’ideale
giacobino. La ragione per cui ci sono gli Stati,
repubbliche comprese, è quella di
tenere a freno i cittadini viziosi, che sono la maggior
parte. Nessuno Stato reale si regge sulla virtù dei
cittadini, ma è regolato da una costituzione scritta o
non scritta, che stabilisce regole per la loro condotta,
proprio col presupposto che i cittadini non siano
generalmente virtuosi.
Che cos’è la virtù civile, e per
quale ragione essa è necessaria nelle repubbliche lo hai
spiegato tu stesso, quando dici che la ragione per cui
esistono gli Stati “è quella di tenere a freno i
cittadini viziosi”. Proprio perché il fine principale
degli Stati è quello di tenere a freno gli arroganti,
gli ambiziosi e i viziosi, è necessario che i cittadini
sappiano e vogliano ‘tenere le mani sopra la libertà’
come scrive Cattaneo citando Machiavelli.
Anch’io ho citato più volte quel
passo di Machiavelli!
Vedi che sei stato tu ad insegnarlo
a me. Il significato di quel passo è che per frenare
coloro che hanno le mani lunghe ci vuole, oltre alle
buone leggi, la virtù civile dei cittadini. I miei
repubblicani e i tuoi maestri su questo punto
concordano: Machiavelli e Cattaneo su questo punto si
incontrano: se non hai dei cittadini disposti ad essere
vigili, ad impegnarsi, capaci di resistere contro gli
arroganti, servire il bene pubblico, la repubblica
muore, diventa un luogo in cui alcuni dominano e gli
altri servono.
Non ho
difficoltà ad ammetterlo. L’ho scritto io stesso in uno
dei primi articoli pubblicati dopo la Liberazione sul
giornale del Partito d’Azione Giustizia e Libertà. Dicevo che la
democrazia ha bisogno di buone leggi e di buoni
costumi.
Che cosa sono i buoni costumi se non quel che con
un sovrappiù di retorica tu chiami “virtù”?
(Istituzioni e Costituzione democratica,
in ‘Giustizia e Libertà’, Quotidiano del Partito
d’Azione, 6 Novembre 1945, ora in Tra due repubbliche, a cura di
Tommaso Greco, Donzelli, Roma 1996, pp. 31-33).
Certo,
per me la virtù civile non è la volontà di immolarsi per
la Patria. Si tratta di una virtù civile per uomini e
donne che desiderano vivere con dignità, e poiché sanno
che non si può vivere con dignità in una comunità
corrotta fanno quello che possono, quando possono, per
servire la libertà comune: svolgono la propria
professione con coscienza, senza trarre vantaggi
illeciti né approfittare del bisogno o della debolezza
di altri; vivono la vita familiare su una base di
rispetto reciproco in modo che la loro casa assomiglia
più ad una piccola repubblica che non a una monarchia o
ad una congrega di estranei tenuta insieme
dall'interesse o dalla televisione; assolvono i loro
doveri civici, ma non sono affatto docili; sono capaci
di mobilitarsi, per impedire che sia approvata una legge
ingiusta o per spingere chi governa ad affrontare i
problemi nell'interesse comune; sono attivi in
associazioni di vario genere (professionali, sportive,
culturali, politiche, religiose); seguono le vicende
della politica nazionale e internazionale; vogliono
capire e non vogliono essere guidati o
indottrinati;
desiderano conoscere e discutere la storia della
repubblica e riflettere sulle memorie storiche.
Per
alcuni la motivazione prevalente all'impegno viene da un
senso morale, e più precisamente dallo sdegno contro le
prevaricazioni, le discriminazioni, la corruzione,
l'arroganza e la volgarità; in altri prevale un
desiderio estetico di decenza e di decoro; altri ancora
sono mossi da interessi legittimi: desiderano strade
sicure, parchi piacevoli, piazze ben tenute, monumenti
rispettati, scuole serie, ospedali veri; altri ancora si
impegnano perché vogliono raccogliere stima e aspirano
agli onori pubblici, sedere al tavolo della presidenza,
parlare in pubblico, essere in prima fila alle
cerimonie. In molti casi questi motivi operano
insieme, e l'uno rafforza l'altro.
Questo tipo di virtù civile non
è
impossibile. Ognuno di noi potrebbe citare i nomi
di molte persone che rispondono a questa descrizione del
cittadino che ha senso di responsabilità civile e che
hanno fatto solo del bene alla comunità e a se
stessi.
Su questo sono d’accordo, parlare di
virtù civile è importante per contrastare l’indifferenza
e l’apatia politica che purtroppo adesso sta dominando
nel nostro paese (per ragioni anche comprensibili, che
non è il caso qui di ricordare). In quel periodo, dopo
la Liberazione c’era entusiasmo, desiderio di
partecipazione come reazione alla impossibilità di
partecipare imposta dal Fascismo. Ciascuno deve dare il
proprio contributo. Ci vogliono i buoni costumi, la
virtù dei cittadini. Questo lo riconosco.
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